di Anna ROSSO “Finòt” (1)
“Andonno ha allestito un museo rievocando i tempi passati dal 1800 al 1950 circa per ricordare, o meglio far conoscere alle nuove generazioni come si viveva, come ci si vestiva, quali erano gli attrezzi per lavorare la terra, con quali mezzi si tagliava il fieno e il grano, quali erano i mezzi di trasporto e i cibi principali per nutrirsi. Le fotografie dei nostri nonni e bisnonni, i gruppi di scolaresche delle elementari fino alla terza o quarta classe.
Tanti noi anziani abbiamo sentito raccontare e commentare i tempi passati
dai nostri genitori, nonni e bisnonni, ma pochi si ricordano ancora di Ninìn
Tabàs (2).
Io l’ho conosciuta e la ricordo.
Ninìn era una piccola donna vestita in modo dimesso, non so se è stata sposata e rimasta vedova giovane o se era rimasta da sposare, non so quando e dove sia nata e fino a che età sia vissuta.
Dei suoi genitori e parenti non ho mai sentito parlare. Come tutte le donne sole, ai suoi tempi, era dileggiata da ragazzini che approfittavano del suo piccolo campo (ora campo sportivo) per rubarle le pere, le prugne, l’uva passerina (ribes).
Noi bambine non partecipavamo a queste piccole ruberie perché eravamo piccole, sette o otto anni al massimo. Mi ricordo di essermi avvicinata alla sua porta assieme alle mie amiche (Nena, Marta, Maria) e di essere stata minacciata con un bastone; infatti verso tutti coloro che passavano davanti alla sua casa adibita a cucina, stalla e un misero giaciglio per riposarsi, Ninìn diventava arrogante e gridava.
In certi periodi non si vedeva, forse si allontanava dal paese per chiedere l’elemosina. Un mattino ho sentito un trambusto, ero a casa della mia nonna - Ana d’la Sensa - e ho visto una vicina di casa di Ninìn (Ginota dal gal) suonare la campanella del Rev. Priore Don Martini per avvisarlo che Ninìn stava male ed era per terra sotto il porticato con un mucchio di stracci indosso. Ho subito dato l’allarme alle mie amiche e di corsa siamo andate a l’ara sürana (via Soprana) per renderci conto dell’accaduto.
Ninìn stava morendo.
Don Martini è arrivato, l’ha benedetta e qualcuno ha suggerito di chiamare subito Simun Finòt, forse era un suo lontano parente. Non so. Non abbiamo visto nessun dottore. Ninìn è morta poco dopo.
Qualcuno avrà composto la sua salma nella sua povera casa e alla sera tanti del paese saranno andati a recitare il rosario. Non mi ricordo del funerale, non ho mai saputo in che angolo del cimitero sia stata sepolta.
Una nota folcloristica di Ninìn me la ricordo benissimo.
Tutti gli anni in occasione della festa della Madonna (3),
nel paese era abitudine portare nel forno comunale, sito nella piazza del
paese, le torte a cuocere.
Le nostre mamme e nonne non mancavano ed era festa per noi bambini.
Anche Ninìn, vestita con ün giach e na fauda (una camicetta e una gonna) pulita e con gli zoccoli arrivava con l’asse de la mèt (la madia) con sopra due o tre torte confezionate con le pere e le brigne (susine) coperte con una tovaglia di tela adornata da un pizzo con frangia e ricamata una bella cifra a punto croce rosso che forse faceva parte del suo corredo gelosamente conservato. Quando mi viene in mente questo fatto mi commuovo!
Questo semplice scritto non è fantasia della scrivente ma, grazie alla mia ancora buona memoria è tutta verità.
Grazie a tutti quelli che si sono prodigati per realizzare questo progetto e averlo dedicato ad una andonnese che ben se lo è meritato. Non avendo eredi, mi è stato detto, tanti anni dopo, che il suo campo e la sua casa erano stati ereditati dal Comune di Valdieri.”
Anna Rosso Finòt
NOTE
(1) Manoscritto di Anna Rosso Finòt, di anni 82 originaria di Andonno, gentilmente consegnato dall’autrice al Museo di Andonno.
(2) Pepino Caterina fu Antonio detta Ninìn Tabàs, di Andonno, donatrice dei locali in via Soprana, ospitanti il Museo etnografico.
(3) Festa della Madonna del Gerbetto, o delle Grazie, ancora oggi celebrata ad Andonno la prima domenica di settembre.