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La gente, il dialetto, i luoghi

“Ad Andonno si viveva proprio alla buona, c’era sempre una grande unione, tutti erano egualmente poveri ...
Penso che nessuno sia morto veramente fino a quando c’è qualche persona che lo ricordi, e io sono una di quelle.”
Gina ‘t Bèpu ‘t Giüzéi d’Endònn
Scrittrice andonnese

Festa dei "Trupa"
gruppo di famiglie Da tre anni si tiene nella contrada San Sebastiano il raduno delle famiglie Rosso di Andonno.
Alla festa si incontrano i parenti vicini e lontani, di tutte le età, per rinnovare insieme il forte legame familiare con un momento di allegria, nell'augurio di un arrivederci a tutti... per la prossima festa!"

C’erano una volta ad Andonno i tessitori
Coi telai e le altre attrezzature tutte, usate rigorosamente a mano, facevano la tela.
Erano molte le persone che si dedicavano a questa attività.
Si può ben dire nelle stalle fino a circa 70 anni fa, la maggior parte delle famiglie (9 su 10) erano dedite a questo lavoro. Praticamente fin tanto che ci furono anziani che con questa attività arrotondavano con il ricavato della tela il magro bilancio famigliare, costituito dallo sfruttamento della terra (assai poca) e dell’allevamento del bestiame, mucche pecore e capre, e animali da cortile, galline e conigli. Con la dipartita delle persone più anziane dedite a questo lavoro (che fatto manualmente diventava una vera arte) i giovani cercarono altre fonti di guadagno.
Furono gli anni del primo ‘900 che portarono ad una forte emigrazione, verso la vicina Francia e anche verso le lontane Americhe e di loro molti pochi ritornarono!
Io personalmente che per mia fortuna ebbi la possibilità di passare la mia fanciullezza, e, parte della mia giovinezza nelle estati degli anni scolastici ad Andonno a casa dei miei nonni materni, Drea (Andrea) dei Mulinìar (mugnai) e Teresa “at Tata”, ho un vivido ricordo di quanto impegnativa e anche difficoltosa fosse l’arte del tessitore.
Si cominciava dal materiale impiegato - la canapa (la rista) – normalmente acquistata nella Fiera Fredda di Borgo San Dalmazzo dai contadini della pianura, sotto forma di lunghi bastoncini raccolti in fascine.
Questi bastoncini macerati in acqua, venivano poi schiacciati con una specie di mazza su un ceppo di legno. Dopo questo trattamento che rompeva le fibre, queste venivano “pettinate” con delle spazzole di ferro e ridotte ad una massa fine morbida.
Qui intervenivano le donne, raccolta la massa morbida della canapa su una “ruca” tipo di bastone che si usava anche per la lana, con l’aiuto del “füs”, arnese in legno cilindrico e appuntito, veniva filato cioè trasformato in lunghi fili ritorti che poi raccolti a gomitolo erano la base per la canapa, “la rista” per la tessitura della tela, e la lana per eseguire i lavori coi ferri per confezionare calze, maglie, sottovesti ecc.
Una volta raccolto il filo di canapa in gomitoli si cominciava la lavorazione per ottenere la tela. Il primo passaggio era quello di ottenere una quantità di fili di canapa pari alla lunghezza e alla larghezza della tela che si voleva produrre.
Per fare ciò si avvalevano di uno strumento detto “orditoio”. Composto da un grande quadro fatto con travi di legno, lungo circa 3 m e alto m 1,50 su cui erano fissati in vari modi dei pioli di legno, e, da una cassa lunga circa 2 m con al centro un asse che la divideva in metà. Sui fianchi della cassa e attraverso l’asse centrale venivano alloggiati i gomitoli. Al centro della cassa su un supporto in legno vi era una specie di lunga paletta in legno, su cui si facevano passare i fili dei gomitoli tenendoli separati ma vicini.
Qui giunti, di solito le donne, prendevano la paletta coi fili e li facevano passare in vario modo attraverso i pioli fino ad ottenere sui pioli un quantità di filo pari alla lunghezza della tela; la lunghezza della tela era data dalla lunghezza del filo disteso sull’orditoio.
Ogni volta che nella cassa terminava un gomitolo se ne aggiungeva un altro legando insieme i capi. Terminata questa prima fase si raccoglieva il filo dall’orditoio, sotto forma di una lunga corda, e, la si caricava sul telaio per la tela.
Il telaio, anche lui di legno formato da massicci travi lunghi più di 2 m, al fondo aveva un grosso cilindro in legno, con dei denti che serviva facendolo ruotare per raccogliere la lunga corda ricavata dall’orditoio che sarebbe diventata tela nella fase successiva. Una volta raccolto il filo sul cilindro - “il ruas” - i fili venivano legati uno ad uno ad un preesistente pezzo di tessuto da cui uscivano una parte dei fili e fatti passare attraverso 2 pannelli fatti di legno e fili di cotone - “le lisuares” - che con un meccanismo comandato, con due lunghe aste sotto il telaio, dai piedi dell’operatore, andavano su e giù incrociando i fili dell’ordito.
A questo punto si cominciava a tessere a tela. Con un altro attrezzo - “il ruét” - formato da una ruota di legno che tramite una corda faceva girare un legno rotondo su supporti. Su questo mediante una scanalatura si faceva entrare un piccolo cilindretto di legno “la spola” con due punte ai lati che si incastravano nel cilindro comandato dalla ruota; su detto cilindretto ruotando si raccoglieva il filo, preso da un gomitolo che serviva per la trama della tela, che poteva essere di cotone, canapa, o lana per le coperte. A questo punto l’operatore prendeva la spola col filo e la introduceva nella “navetta”. Ordigno con due punte ai capi, fatto di legno duro con una scanalatura centrale in cui si alloggiava la spola. Il filo della stessa veniva fatto passare attraverso un foro.
La navetta veniva fatta passare prima da un lato poi dall’altro attraverso i fili dell’orditoio, i quali grazie al movimento delle “lisuare” si aprivano, lasciando uno spazio, che, col movimento dei pedali veniva incrociato fermando il filo della navetta prima in un senso poi in un altro. Fatto questo con un attrezzo sospeso in alto sul telaio formante un braccio mobile che andava avanti e indietro, attraverso un pettine entro cui passavano i fili dell’ordito, si batteva il filo uscito dalla navetta contro la tela iniziale.
Si ripeteva l’operazione invertendo i fili tramite i pedali, facendo passare la navetta dal lato opposto al primo.
Come potete immaginare per fare una pezza lunga 3 o 4 metri erano necessari una quantità enorme di fili dato l’esiguo diametro degli stessi.
I tipi di tela erano tre: trama con filo di canapa, trama con filo di cotone, e trama con filo di lana usato per le coperte.
Articolo scritto su richiesta del Gruppo Culturale “Tabàs” da
Giovanni Oddoni nato a Torino l’8 febbraio 1925
in Andonno, 11 novembre 2007.

''II racconto natalizio di un ebreo''
di ALBERT & LYNN SHARON


Albert SHARON, i suoi genitori, suo fratello e sua sorella, fuggendo ai Nazisti che erano alla ricerca di Ebrei, avevano trovato un rifugio temporaneo in un paese del Nord Italia, ANDONNO.
Per tre anni erano stati braccati, costretti a fuggire da paese in paese, da un nascondiglio in un altro.
Ad ANDONNO la gente del paese aveva dimostrato loro una compassione e un rispetto insolito. Persino la polizia e i soldati Italiani li avevano trattati con gentilezza e avevano cercato di proteggerli dalle forze occupanti dell'esercito tedesco. Don BORSOTTO, il prete del paese, aveva offerto loro un riparo in un piccolo edificio accanto alla chiesa.
** Mancava poco a mezzanotte della vigilia di NATALE e le campane suonavano, riecheggiando nelle montagne. Dalla nostra finestra abbiamo guardato le donne avvolte in scialli che faticavano a farsi strada nella neve per andare in chiesa. La notte era gelida ed il cielo una massa di stelle luccicanti.
Siamo tornati al caminetto e fissavamo la piccola fiamma ricordando i festeggiamenti di Chanukah di anni passati.
Stavamo seduti in un pozzo di silenzio, ognuno rievocando i propri sogni, quando abbiamo sentito qualcuno bussare alla porta.
Era passata mezzanotte da un pezzo, ci siamo guardati, un po' apprensivi. Ho aperto la porta appena un po'. Davanti a me c'era una vecchietta raggrinzita, avvolta in uno scialle.
Mi ha sporto un pacco di formaggio e mi ha bisbigliato un rauco "BUON NATALE".
Sbalorditi del suo regalo non finivamo piu’ di ringraziarla.
Sembrava imbarazzata dalla nostra gratitudine e se n'e andata in fretta. Qualche minuto dopo si sentiva di nuovo bussare alla porta. L'ho aperta di nuovo e questa volta un signore mi ha passato una cesta di legna, augurandoci "BUON NATALE". E poi e’ passata un'altra signora e ci ha portato del pane.
La gente del paese ha continuato a venire durante la notte portandoci i loro regali di cibo, vestiti e legna. Gente povera, dava una parte di quel poco che avevano. Eravamo stupefatti. Che cosa li aveva fatti dividere con noi del loro, noi gente di altro paese, credenti in un'altra religione, forestieri in mezzo a loro?
Il mattino dopo era luminoso e fresco, sono uscito e sono andato giu’ per la strada che era deserta. Quando ho incontrato Giacomo gli ho fatto gli auguri di "BUON NATALE" e gli ho raccontato di quello che era successo quella notte. Ha messo la mano sulla mia spalla con un sorriso caloroso.
«In chiesa la scorsa notte DON BORSOTTO ha raccontato la storia della nascita del nostro Signore e dei regali portati dai Re Magi, come fa ogni Natale. Come al solito ha descritto come la Sacra Famiglia ha dovuto lasciare la propria casa, ed alloggiare in una mangiatoia in Betlemme, soli e senza amici. E poi come sono arrivati i Re Magi con doni per Gesu’ Bambino ...
Poi Don Borsotto ha detto: "Proprio come il nostro Signore che non trovava alloggio ed e nato in una mangiatoia, solo e respinto, cosi sono gli ebrei oggi, soli e respinti; vivono in mangiatoie e peggio. Abbiamo due famiglie ebree fra noi questo Natale anche loro sono soli, hanno fame, cacciati dalle loro case, braccati per il solo motivo di essere ebrei". Poi Don BORSOTTO ci ha detto che potevamo essere noi ora a fare i Re Magi e portare regali alle famiglie ebree di ANDONNO».
Sono rimasto senza parole, sono tornato di corsa nella nostra stanza per ripetere alla mia famiglia quello che Giacomo mi aveva detto. Anche loro erano esterrefatti dalla generosita’ della semplice povera gente di ANDONNO. E mio padre ha detto ''Siamo fortunati di essere ad ANDONNO in mezzo a buoni cristiani". Sono andato da Don BORSOTTO per ringraziarlo. "Figlio mio - mi ha detto con gli occhi pieni di lacrime - non devi ringraziarmi era Ia cosa cristiana da fare".
Poco dopo Natale, i tedeschi hanno intensificato le loro attivita’ nel Nord Italia, assalendo i paesi e bruciando le case e le chiese ovunque trovavano prove che c'erano stati rifugiati ebrei, disertori o partigiani.
In un paese vicino, BOVES molta gente e stata ammazzata, ed il prete chiuso nella sua chiesa e bruciato insieme a questa.
La famiglia SHARON fuggi’ nelle montagne sopra ANDONNO. Di giorno si rifugiavano nella baracca di un pastore che avevano trovato, e di notte scendevano di nascosto al paese, dove la famiglia GIORDANA lasciava la porta della stalla aperta per loro.
Ogni notte, entrando dal freddo glaciale, trovavamo una marmitta di minestra calda che ci aspettava. Non ci sono parole per descrivere i nostri sentimenti nei confronti di questa gente. Grazie alla loro compassione e la loro generosita’ abbiamo dormito nella paglia calda, scaldata dal calore corporeo delle bestie. La mattina la Signora GIORDANA ci metteva della paglia fresca. La paglia ci ha tenuti caldi in montagna.
Un giorno, seduti nella neve, coi brividi di freddo siamo stati sorpresi nel vedere una vecchietta, infagottata nei suoi vestiti neri, farsi strada con molta fatica su per la montagna.
Portava una marmitta di minestra calda per noi.
C'e una parola ebrea che non ha una traduzione precisa, ma che descrive veramente il comportamento di questa gente buona e semplice e questa parola e "CHESED". La parola piu’ che si avvicina in italiano e pieta’.
E’ una generosita’ e una gentilezza verso gli altri che viene senza aspettare un guadagno.
A gennaio, rischiando la sua propria vita il Signor GIORDANA ha nascosto la famiglia SHARON sotto un mucchio di fieno sul suo carro e li ha portati alla stazione ferroviaria di un Paese vicino. Servendosi di documenti falsificati sono alla fine riusciti ad arrivare a ROMA, e nascondersi senza farsi scoprire per parecchi mesi. Nella primavera del 1944 la loro dura prova durata quattro anni e’ finita con la liberazione dell'Italia da parte degli Americani. **

(Albert SHARON e’ morto a Gerusalemme, febbraio
1990 appena cinque ore dopo aver finito di
dettare le sue memorie a Lynn).


veduta di Andonno

Il dialetto

La tradizione dialettale locale è espressione viva della minoranza linguistica storica occitana, tutelata e valorizzata con la Legge n. 482 del 1999, che accomuna ancora oggi oltre 120 comuni piemontesi, la parte centro-meridionale della Francia e la val d’Aran in Spagna.

I luoghi

Elenco dei Tetti della comunità di Andonno:
• Zona nord-est
Tetto Bedana, Tetto Bori, Tetto Gian Martin, Tetto Giaculòt, Tetto Nalòt, Tetto Paola, Tetto Tadìn
• Vallone dei Cugn e dell’Agnello
Tetto Astre, Tetto Balota, Tetto Baral soprano, Tetto Bergia, Tetto Budìn, Tetto Ciamberìn, Tetto Ciòl, Tetto Dinèt, Tetto Forneris, Tetto Gianàs, Tetto Giüzèj, Tetto Glodu, Tetto Lurens, Tetto Mancin, Tetto Minic, Tetto Nalòt, Tetto Palanca, Tetto Pinèt, Tetto Rigaudo, Tetto Sales
• Zona Saben – Roccoston
Tetto Roccoston, Tetto Rollu, Tetto dal Cru, Tetti del Prièt, Tetto della Volpe, Tetto del Gris, Tetto Mulea

La coltivazione sperimentale dello zafferano

Ad Andonno, per iniziativa del sig. B. S. è iniziata nel 2016 la coltivazione dello zafferano, con una piantagione di circa 400 bulbi. La sequenza delle fotografie documenta le fasi di crescita delle piante e dei fiori in campo, il raccolto dei fiori e dei pistilli con la preziosa spezia, con l'utilizzo in cucina per il tipico gustoso risotto.
L'iniziativa vuole essere un esempio concreto di buona opportunità di integrazione delle pratiche agricole tradizionali in montagna, adattabile a piccoli appezzamenti, con terreni poveri e asciutti, nel rispetto della sostenibilità ambientale.

Dalle analisi di laboratorio accreditato, effettuate il 9 dicembre 2016, il campione, analizzato con metodo di prova ISO 3632-2/2010, è risultato di CATEGORIA I di standard internazionale.
Lo zafferano locale possiede le seguenti ottime caratteristiche di qualità organolettiche:
- il potere amaricante maggiore di 70 (72,6);
- il potere colorante maggiore di 190 (193,4);
- il potere odoroso compreso tra 20 e 50 (25,2);
- l'umidità del 8,8%.

campo con piantagione e visione innevata con la prima crescita delle piantine

inizio fioritura in campo

fiori e pistilli

utilizzo dello zafferano in cucina